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LA CRISI DELLA CRESCITA SENZA LIMITI

La fiducia cieca verso il mercato e la crescita senza limite favorì le politiche di investimento senza tenere in alcun conto gli aspetti ambientali. Lo sfruttamento illimitato delle risorse naturali era comunemente accettato come prezzo da pagare per alimentare la crescita economica e dare occupazione. L'ambiente aveva quindi valore strumentale, era lì per essere plasmato dall'uomo mentre la scarsità delle risorse naturali non era un problema. Le riserve petrolifere o di carbone consentivano di guardare allo sviluppo secolare delle economie. La fiducia verso il progresso era ai massimi storici. Il progresso tecnologico avrebbe consentito di sostituire i materiali scarsi con altri, eliminando completamente il problema della scarsità. Un approccio conosciuto anche come "Cornucopiano estremo". Non si trattava solo di un approccio capitalistico. Tanto negli Usa quanto nella Unione Sovietica era imperante la stessa visione strumentale dell'ambiente. L'unica differenza era nel meccanismo utilizzato per attuare lo sfruttamento delle risorse, la pianificazione nell'URSS e il libero mercato negli Usa. Per il resto, disastri ambientali ebbero luogo tanto nei paesi capitalistici tanto in quelli socialisti.

Una visione ottimista ma senza futuro. L'idea che la crescita economica trainata dal progresso fosse illimitata si scontrò con l'evidenza delle conseguenze ambientali, dell'inquinamento e dell'impatto sulla salute dell'uomo. Negli anni '60 la società industrializzata iniziò a convivere con l'inquinamento industriale di ogni tipo e successivamente con l'impatto sulla salute che questo comportava. In questi anni nacquero i principali movimenti ambientalisti moderni. La presenza dell'inquinamento e dei danni verso terzi alimentò in economia lo studio delle diseconomie esterne e dei costi sociali. Gli economisti del dopo guerra si resero conto che la "crescita illimitata" celava conseguenze che minavano la stessa esistenza della crescita nel tempo. La crescita non aveva caratteristiche "sostenibili" tali da garantirla e "sostenerla" anche nel futuro. Particolare attenzione venne data ai costi dell'inquinamento e all'esigenza di "internalizzare" i costi sociali in quelli privati, in altri termini di far pagare i danni direttamente a chi li produceva l'inquinamento. Questi aspetti misero ulteriormente in crisi il principio del mercato e la sua capacità di giungere verso equilibri ottimali. La comunità scientifica iniziò a parlare di "fallimenti del mercato" cercando di porvi rimedio con l'intervento pubblico.


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