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CRESCITA ILLIMITATA NEL NOVECENTO

Nel primo novecento la teoria economica neoclassica introdusse la piena fiducia verso il libero gioco del mercato e nella sua capacità di portare l'economia alla piena occupazione senza alcun intervento esterno. Questa eccessiva fiducia cadde con la crisi del 1929 e con le economie post-belliche. Nel primo caso la disoccupazione raggiunse massimi storici, nel secondo caso la ricostruzione dai danni di guerra divenne prioritario per riavviare il mondo sulla strada dello sviluppo economico. Da un lato ripresero vigore le teorie marxiste, rinvigorite dalla rivoluzione russa del 1919, dall'altro molti paesi occidentali cercarono di rispondere ai problemi reali senza necessariamente abbandonare il sistema capitalistico. In quest'ultima strada si colloca senza alcun dubbio la Teoria Keynesiana. Keynes auspicava un maggiore ruolo dello Stato e delle spese pubbliche anche in disavanzo per uscire dalla trappola delle crisi. In questo modo le economie distrutte dalla seconda guerra mondiale poterono avviare la ricostruzione e accendere nuovamente la scintilla dello sviluppo. Negli anni '50 la "crescita" tornò quindi ad essere un argomento di studio da parte di economisti e politici. Nel contempo il progresso tecnologico prese un incredibile accelerazione. Le innovazioni tecnologiche nate anche sulla spinta della guerra mondiale, trovarono facili impieghi civili (es. nucleare) o commerciali (es. tv, automobili ecc.). Nacquero nuovi mercati e la produzione di massa favorì una diffusa distribuzione del reddito da lavoro migliorando il benessere collettivo. Alla fine degli anni '50 l'uomo era quindi convinto che il progresso tecnologico avrebbe dato luogo una crescita economica senza limiti.

Questa visione ottimistica del mondo non tardò molto ad entrare in crisi.


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