La crisi della politica keynesiana
La teoria di Keynes permise alle economie occidentali di uscire dalla lunga depressione degli anni '30. Nel dopoguerra le politiche keynesiane iniziarono però a mostrare i primi cenni di crisi a causa della crescita della spesa pubblica. I governi approvavano il sostegno alla domanda interna con grande facilità ma non altrettanto era disposti a tagliarla. Le forze sociali, i sindacati, le imprese e gli stessi operatori pubblici premevano per un mantenimento dello status quo. Pertanto la spesa pubblica era poco flessibile verso il basso e perse la funzione iniziale di contrappeso economico nei periodi di crisi per trasformarsi in una pesante voce di costo costante nei conti pubblici. Da un lato si crearono nuovi problemi nella finanza pubblica per ricercare mezzi di copertura della spesa pubblica (crescita imposte, indebitamento, emissione monetaria). Dall'altro la pressione della spesa pubblica anche in periodi di espansione causò una spinta verso i fenomeni inflattivi.
Negli anni '70 l'inflazione era diventata il nuovo problema delle economie capitalistiche moderne. Il fenomeno divenne marcato e noto soprattutto in occasione degli shock esterni nel prezzo petrolifero. I sistemi economici si mostrarono incapaci di controllare l'inflazione nei prezzi e le conseguenze si accentuarono su tutta la società. In questo periodo la teoria keynesiana subì forti critiche sia a livello accademico sia anche politico fino ad essere sostituita dalla nascente teoria monetarista di Milton Friedman che meglio riusciva a spiegare i fenomeni economici degli anni '70.